Tesina sulla produzione flessibile per il corso di modelli organizzativi a.a. 2010/11.
L'elaborato approfondisce il modello di produzione Giapponese, in particolare della Toyota, che si contrappone al modello di produzione di massa. La produzione snella infatti si basa su alcuni concetti della filosofia giapponese che puntano alla creazione di una officina minima.
Il modello giapponese della produzione flessibile
di Lorenzo Blangiardi
Tesina sulla produzione flessibile per il corso di modelli organizzativi a.a.
2010/11.
L'elaborato approfondisce il modello di produzione Giapponese, in particolare
della Toyota, che si contrappone al modello di produzione di massa. La
produzione snella infatti si basa su alcuni concetti della filosofia giapponese
che puntano alla creazione di una officina minima.
Università: Università degli Studi di Firenze
Facoltà: Scienze dell'Educazione
Esame: Modelli organizzativi
Docente: Andrea Spini1. La nascita della produzione flessibile alla Toyota giapponese
Verso la fine degli anni ’40 la seconda guerra mondiale era terminata, lasciando il Giappone in una grave
condizione sotto ogni aspetto. La Toyota, una piccola casa automobilistica, gravava naturalmente in pessime
condizioni, con una quota di mercato minima ed uno scarso capitale.
Nel 1950, Eiji Toyoda, nipote del fondatore della Toyota, Sakici Toyoda, decise di andare negli Stati Uniti,
per vedere di persona il modello dominante dell’industria attuale, quello fordista, caratterizzato da grandi
complessi industriali e produzione di massa di beni standardizzati. Tornato dagli stabilimenti della Ford, Eiji
si convinse che la produzione di massa non era adatta al Giappone, prima di tutto perchè richiedeva un
immobilizzo di capitali (sotto forma di costosi macchinari dedicati alla produzione di un singolo modello o
di un singolo particolare) che allora, appena finita la guerra non erano assolutamente disponibili. Inoltre, in
un mercato come quello giapponese, era impensabile voler produrre milioni di automobili uguali, in quanto
le richieste erano scarse ed estremamente diversificate. Un ultimo fattore che scoraggiava la produzione
parcellizzata era la condizione della forza lavoro, con i sindacati, che nell'immediato dopoguerra, si erano
rafforzati ed avevano raggiunto, in cambio delle riduzioni di manodopera richieste dai capitalisti, condizioni
favorevoli per quelli che avevano conservato l'impiego. La Toyota non aveva fatto eccezione, e si trovava
agli inizi degli anni cinquanta a dover pagare un caro prezzo per i licenziamenti fatti negli anni precedenti.
Tutti i dipendenti, infatti, avevano conquistato il diritto al posto fino alla pensione, con notevoli incrementi
di stipendio basati non sulla professionalità o l'incarico svolto, ma sull'anzianità presso l'azienda. I lavoratori
costituivano un costo fisso per la produzione, era quindi opportuno cercare di utilizzarli al meglio, evitando
l’insorgere della disaffection (malcontento operaio), grande problema delle fabbriche occidentali.
Così Toyoda, insieme al direttore dello stabilimento di produzione, Taiichi Ohno, si diede da fare per
superare i limiti del fordismo. Iniziò sviluppando una tecnica per la sostituzione delle presse in linea
semplicemente rivoluzionaria, in quanto l'operazione poteva essere attuata in pochi minuti dagli stessi operai
addetti allo stampaggio (la stessa operazione, in una fabbrica occidentale, richiede un giorno di lavoro di
tecnici specializzati). Poi, infrangendo il dogma tayloristico della scissione tra produzione e controllo,
attribuirono agli operai di linea funzioni via via più complesse, incluse quelle inerenti la qualità. I difetti
andavano prevenuti, non subiti. Ciò impose, naturalmente, profonde modifiche organizzative, prima fra tutte
la possibilità, per ogni operatore, di fermare la catena, decisione questa, che era normalmente appannaggio
di pochi funzionari responsabili di linea.
Così, quasi in sordina, nacque il Toyota Production System, un rivoluzionario metodo produttivo che,
superando la rigidità della produzione di massa, sfruttava al meglio le risorse umane e quelle tecniche, le
faceva interagire funzionalmente tra di loro, si faceva forte della particolare cultura giapponese che
privilegia, più che le genialità individuali, i risultati ottenuti dal gruppo. Il sistema Toyota, che a costi
contenuti permetteva di lanciare sul mercato un nuovo modello in soli tre-quattro anni (ed in un numero
altissimo di varianti) fu ben presto ripreso da tutte le fabbriche giapponesi, in fortissima concorrenza tra di
loro.
Lorenzo Blangiardi Sezione Appunti
Il modello giapponese della produzione flessibile
Ohno abbassò quindi il break event point dell’economia di scala tipica delle produzioni di grandi serie, a
un’economia di flessibilità basata su produzioni di brevi serie. Bisognava trasformare i vincoli in risorse.
Questi cambiamenti portarono al venir meno di grandi riserve di materiale da accumulare per lavorarlo, a
fronte dell’allestimento di un sistema di trasporti perfetto per le consegne di materiale “giusto in tempo”.
Inoltre la produzione di piccoli lotti diversificati permetteva alla Toyota di rispondere alle variazioni di
mercato, alle richieste personalizzate dei clienti, e permetteva un controllo della qualità estremamente più
efficace, in quanto fermando il flusso produttivo per eliminare immediatamente i difetti scoperti, non si
lasciava scorrere il flusso per intervenire poi a fine linea, con conseguenti costi più elevati di produzione.
Questo metodo produttivo prese il nome di “produzione flessibile”, caratterizzato dalla flessibilità tanto dei
processi produttivi che dell’impiego della manodopera. Può essere attuato in seno a grandi o piccole imprese
coinvolgendo gli operai nell’esecuzione responsabile dei compiti affidati. Fattori fondamentali sono la
cooperazione e la fiducia reciproca nei rapporti tra impresa e dipendenti, e impresa madre e la rete delle
imprese fornitrici.
Il distretto industriale è l’espressione socio-economica in cui si realizza questo modello alternativo alla
grande impresa. Un agglomerato geograficamente definito di piccole imprese, specializzato nella produzione
di beni dove vige una micro-imprenditorialità diffusa, esiste una fitta regolazione dei rapporti di tutela e
concorrenza degli interessi collettivi e sono considerate un patrimonio collettivo le istituzioni politico-sociali
di controllo e di sviluppo delle capacità tecniche-produttive.
Il metodo decollò poi definitivamente con l'adozione, avvenuta negli anni sessanta, dei principi della Qualità
Totale; filosofia questa introdotta in Giappone, ironia della sorte, proprio da un ricercatore americano,
Edward Deming. Tutto ciò avveniva mentre, in occidente, le case costruttrici erano cristallizzate nella
produzione fordista.
Lorenzo Blangiardi Sezione Appunti
Il modello giapponese della produzione flessibile